SALA BLU di PRUSSIA

incontri e interventi su ETICA e SPORT

segnalati dall'Associazione Culturale Quintiliano

domenica 30 gennaio 2011

Giocare a calcio con la testa

Nel settembre 2009 i nostri laboratori hanno partecipato a una serata di introduzione e presentazione del film













Una favola amara ma banale sul mondo del calcio e l'umanità che lo circonda
Gabriele Niola
Elia ha un talento straordinario e Michele ha bisogno di scoprire il nuovo fenomeno. Insieme potrebbero cambiare vita

Elia gioca a calcio sulla spiaggia e sui campi terrosi di uno sperduto paesino della Sicilia dove un giorno capita Michele, talent scout per la serie A. Il suo obiettivo dovrebbero essere alcuni ragazzi della scuola calcio locale che gli vengono mostrati e raccomandati in modi più o meno leciti, l'attenzione però è subito rapita dall'abilità innata del 18enne dal cervello di un 12enne Elia. È l'estate del 2006 quando i due si incontrano, il calcio italiano da una parte è scosso dallo scandalo Moggi mentre dall'altra è esaltato dalla vittoria ai mondiali di Germania. La vita del ragazzo potrebbe essere pronta ad un cambio ma anche quella di Michele che nonostante l'aria da grande professionista non se la passa benissimo.Talent scout e giovane promessa o maestro e pupillo la dialettica tra i due ruoli (quello di pseudo padre e di pseudo figlio, il primo in cerca di un riscatto e il secondo di un modello) è sempre la medesima: quella tra istinto e ragione, tra mente e braccio. Se Elia, pieno di talento calcistico e abituato ad una vita semplice nel meridione d'Italia è l'emblema dell'autenticità, Michele è invece il simbolo della sofisticatezza senza basi, e il film stesso nel raccontare il rapporto tra i due cerca più in generale di operare una riflessione sullo stato di queste istanze nella società italiana (calcistica e non). Lo scontro però non produce scintille ma solo banali attriti. L'attaccamento di Elia all'essenza delle cose si manifesta senza nessuna fantasia nel rifiuto del traffico, quando intrappolato nelle macchine sogna di volare come un uccello (!!), nel disinteresse verso il cibo confezionato ma anche verso quello eccessivamente elaborato a favore dei semplici sapori della sua terra e poi più di tutti nel rifiuto istintivo di rinunciare al piacere del gioco per ottenere quei privilegi di cui Michele vive. Macchine, donne, soldi, orologi, telefoni e via dicendo, la simbologia che dovrebbe fare di Michele la controparte inutilmente sofisticata è tutta qua.Piede di Dio opera una riflessione abusata, cioè che i veri valori del calcio stanno nei campetti polverosi dove i ragazzi giocano con passione, e lo fa senza nessuna idea estetica o filmica (Sardiello del resto ammette di non essere mai stato un regista nonostante diriga importanti riviste di settore e abbia un curriculum da sceneggiatore) e a questo affianca una visione del calcio come liberazione da qualsiasi gabbia (mentale, spirituale o fisica) senza però supporto di scene, idee o anche solo parole efficaci. Non c'è nessuna espressività e alla fine il compito di mostrare la poesia è lasciato alle immagini di repertorio di Garrincha, Maradona, Roberto Baggio e vi dicendo.Cavalcando le opinioni più popolari Sardiello conferma e porta su schermo tutto ciò che già si pensa e si dice nei mercati rionali, nei baretti e nelle discussioni da salotto buono. La modernità è male mentre un ritorno all'origine e alla semplicità potrebbe essere la vera soluzione contro il moderno mondo malato e corrotto. Come al solito però il perchè non è dato saperlo.Le sole sorprese sono la mimica facciale e corporale sempre più completa e complessa di Filippo Pucillo e Elena Bouryka, decisamente migliore del ruolo che interpreta.

da mymovies











Una serata riuscita, con seri spunti per la riflessione: il film, semplice ed espressivo, è da vedere; è stato realizzato senza una casa di produzione alle spalle, ed è foriero di un messaggio preciso, amplificato dalle autorevoli presenze in sala convenute per la presentazione di un progetto della Regione Piemonte, già in esecuzione da qualche tempo, che si occupa di suscitare l'interesse delle istituzioni, delle organizzazioni, delle imprese, dei cittadini, della scuola, sul tema dello sport di cittadinanza e di stimolare gli attori sociali al fine di attivare politiche a favore del diritto alla pratica sportiva, dello sport come strumento di integrazione, coesione sociale e qualità della vita dei cittadini (http://www.eticasport.it/). Il Comitato Scientifico del Progetto Etica e Sport, assieme al regista Luigi Sardiello, ha incontrato il pubblico per un breve dibattito che ha preceduto la proiezione del film.








Sono intervenuti:








Maurizio Laudi, procuratore della Repubblica di Asti, Professore di Diritto dello Sport all'Università di Torino,







Pierpaolo Maza, vicepresidente della Fondazione 20 Marzo 2006,









Giorgio Viglino (moderatore del dibattito), giornalista, esperto in comunicazione e direttore dell'agenzia AMI,








Alfredo Trentalange, osservatore arbitri UEFA ed educatore.














Ha preceduto il dibattito, all'ingresso del Cinema Nazionale alle 19.30, l'esibizione di due ragazzi in uno spettacolo di freestyle








Davide Iannetti - Diginho e Yuri Zappatore - Zapinho







dell'Experienceteam







qualche immagine









Il Laboratorio Quintiliano era presente anche stavolta con Davide, Roberto, Valerio (studenti universitari di architettura, storia e giurisprudenza), e i proff. Dario Coppola e Luca Debarbieri. La serata si è poi conclusa in pizzeria.

domenica 16 gennaio 2011

La parola a Sandro Donati, Alfredo Trentalange e Don Ciotti (2008)

Un'occasione per riflettere... per trattare, in una conferenza, quei problemi dei quali nessuno vuole o può parlare... E' stata quella della celebrazione del cinquantesimo anniversario dell'Associazione sportiva K2 alla quale hanno partecipato al'Hiroshima Mon Amour di Torino, il 27 settembre 2008, gli illustri relatori sotto citati, dei quali abbiamo sintetizzato l'intervento.


Sintesi degli interventi


Sandro Donati
Ex preparatore della squadra italiana di atletica e collaboratore del Coni, isolato a causa della sua determinazione nel rivelare realtà scottanti nella realtà italiana (ad esempio, il cosiddetto "doping di stato" a Ferrara) e poi costretto a lasciare anzitempo il lavoro col pretesto di un precoce pensionamento. Attualmente responsabile delle attività sportive per l’associazione “Libera” di don Luigi Ciotti.

Donati ha iniziato il proprio intervento con una ricostruzione della nascita dello sport moderno, “inventato” nella seconda metà dell’Ottocento da uomini adulti e competitivi per svago ma anche per mettere alla prova le proprie qualità atletiche e agonistiche e ben presto riconosciuto anche dai vertici militari come un eccellente strumento per tenere in allenamento i soldati e forgiarne il carattere.
Il problema si è posto man mano che la pratica sportiva, nel corso del Novecento, ha riguardato un numero sempre più cospicuo di persone, e, in modo particolare, di bambini. Con quest’allargamento della base di praticanti, si è iniziata a far strada una seconda e diversa accezione della pratica sportiva: non pratica agonistica fine a se stessa, ma veicolo di valori positivi per la persona: rispetto dell’avversario, pratica della solidarietà di squadra, gusto del gioco e della competizione corretta, espressione armoniosa e completa delle proprie potenzialità fisiche e mentali ecc.
Lo sport, pertanto, ha acquisito una sorta di doppia identità: quella “idealistica” incentrata sulla persona e quella, di matrice ottocentesca, ossessionata dall’agonismo e dal risultato.
Detto ciò Donati ha avanzato la propria tesi: delle due accezioni di sport quella largamente maggioritaria e predominante negli ultimi decenni è stata quella ultra-agonistica, sempre protesa a nuovi e più sbalorditivi primati nonché in grado di fornire uno spettacolo appetibile per il mercato ricchissimo dei diritti televisivi. E questo allo stesso modo nelle dittature più o meno totalitarie e nei paesi con istituzioni e tradizioni democratiche.
L’altra concezione, quella “idealistica” o “umanistica”, è risultata sempre più marginalizzata, perfino in quegli ambiti, come lo sport per bambini e quello cosiddetto “amatoriale”, dove sarebbe estremamente opportuno mantenere un atteggiamento ludico e formativo e dove l’eccessiva specializzazione produce guasti molto maggiori dei benefici.
Secondo il relatore, pertanto, si pone come urgente un ripensamento radicale quantomeno dello sport per bambini al fine di formare una nuova leva di formatori-allenatori che sappiano educare la persona prima ancora che il futuro atleta.
La proposta di Donati è quella, pertanto, di una nuova confederazione dello sport giovanile basata sulla scuola, su associazioni sportive che abbiano un approccio globale e non solo specialistico alla pratica sportiva e sulle amministrazioni locali.


Alfredo Trentalange
Arbitro di calcio. Appartenente alla Sezione AIA di Torino, fece il suo debutto in serie A nel 1989. Nel 1993 venne promosso arbitro internazionale dall'allora designatore Paolo Casarin. Nel 1997 ricevette il prestigioso premio Mauro, massimo riconoscimento per i direttori di gara italiani; ha anche collezionato diverse apparizioni nella UEFA Champions League. Ha arbitrato in tutto 197 partite nella massima divisione. Di professione educatore (laurea in Scienze Motorie), è attualmente componente del Comitato Nazionale dell'AIA, e contemporaneamente ricopre il ruolo di osservatore degli arbitri UEFA. Dalla primavera del 2008 è insegnante presso le scuole salesiane "Edoardo Agnelli", dove insegna religione. Fondatore dell'associazione di volontariato A.G.A.P.E che si occupa di persone con disagi psichici.

Trentalange si è innanzitutto soffermato sul significato della figura dell’arbitro e su quanto questa rappresenti, anche fisicamente, il principio del rispetto delle regole e quindi anche della giustizia. Arbitrare un incontro, infatti, per Trentalange non è altro che far affermare un principio di perequazione, per cui chi è vittima di una scorrettezza o di una prepotenza, si vede risarcito e posto in una situazione di parità. Ha ricordato poi i propri trascorsi di arbitro di calcio, cercando in questi alcuni esempi del principio secondo il quale tutti sbagliano e tutti devono avere il diritto di sbagliare. Ha passato in rassegna ad esempio alcuni propri grossolani errori, dovuti in particolare a scarsa conoscenza della cultura di provenienza di alcuni calciatori, di cui ha talvolta totalmente travisato gli atteggiamenti.
Ha chiuso il proprio intervento citando il pessimo esempio fornito dai genitori ai propri figli per quanto riguarda fair play ed il senso di equilibrio e chiedendosi, in modo un po’ provocatorio, se non sarebbe opportuno che fossero proprio i più piccoli ad educare gli “adulti”.

Don Luigi CiottiEmigra con la famiglia da Pieve di Cadore a Torino nel 1950. Giornalista pubblicista dal 1988, Ciotti è editorialista e collabora con vari quotidiani e periodici, inoltre scrive su riviste specializzate per operatori sociali e insegnanti ed interviene su testate locali.
Viene ordinato sacerdote nel 1972 dal cardinale Michele Pellegrino, che come parrocchia gli affida la strada.
Il suo impegno pubblico inizia nel 1966 con la creazione del "Gruppo Abele", organizzazione che opera all'interno delle carceri minorili ed aiuta le vittime della droga; sedici anni dopo, nel 1982, viene costituito il coordinamento nazionale delle comunità d'accoglienza, il CNCA, e nel 1986 Ciotti diventa il primo presidente della Lega italiana per la lotta contro l'Aids (LILA), fondata da Franco Grillini ed altri solo un anno prima.
Nel febbraio 1993 pubblica il primo numero del mensile "Narcomafie" e il 25 marzo 1995 fonda "Libera", una rete di organizzazioni impegnate nella lotta alla mafia.
Il 1 luglio 1998 riceve a Bologna, su proposta del consiglio della facoltà di Scienze della formazione, la laurea honoris causa in Scienze dell'educazione, che egli considera come un grande premio per lo sforzo compiuto da tutto il Gruppo Abele nel corso degli anni.
Personalità molto influente nel campo religioso e sociale, Don Ciotti è autore di alcuni libri a carattere educativo, di impegno sociale, di riflessione spirituale, Genitori, figli e droga, scritto in collaborazione con Vaccaro, e Chi ha paura delle mele marce?.
Il 23 giugno 2007 ha ricevuto il "Premio speciale San Bernardo" per l'impegno nel sociale.

Don Ciotti ha basato la sua lunga e appassionata relazione sul concetto di etica come “ambito dell’autenticamente umano”, ambito incentrato in modo particolare sul principio di responsabilità o meglio ancora di corresponsabilità degli uni verso gli altri.
Ha rievocato il proprio apostolato compiuto nelle carceri e nelle strade di Torino, mostrando come lo sport abbia consentito a tanti emarginati ed esclusi di sentirsi, magari per la prima volta, apprezzati per le proprie qualità.
Ha ricordato ad esempio alcune rocambolesche partite di calcio giocate entro il perimetro angusto delle prigioni, non solo dai detenuti scesi in campo ma anche da tutti gli altri che seguivano con trasporto dalle finestre delle celle.
Forte di una pluridecennale esperienza nel campo delle dipendenze, ha messo in guardia contro nuove forme di disagio, magari impreviste se non imprevedibili negli anni Sessanta, quando dette inizio all’esperienza del “gruppo Abele”: la dipendenza dal consumo per esempio, o quella da Internet. E in questa lotta a vecchie e nuove dipendenze e fragilità ha sottolineato come lo sport possa costituire, se inteso nella maniera corretta, un valido antidoto. Ha ricordato con forza (citando Bobbio) che la democrazia non è fatta solo di buone leggi ma anche di buoni costumi e che questo viene troppo spesso dimenticato da coloro che spingono in modo poco perspicace per l’attuazione di ricette repressive e trascurano invece le politiche contrasto alle radici del disagio (“negli ultimi tempi è cresciuto troppo lo stato penale e troppo poco lo stato sociale”).
Andrea Mello